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DOCUMENTO APPROVATO NELL'AMBITO DEL CONSIGLIO CAMERALE DEL 5 NOVEMBRE 2012
Il Consiglio Camerale, nella seduta pubblica del 5 novembre 2012, all'unanimità ha approvato il seguente
ORDINE DEL GIORNO CONSIGLIO CAMERALE
E’ assolutamente condivisibile l’affermazione contenuta nel documento elaborato in sede di Comitato Esecutivo Unioncamere Nazionale nella seduta del 18.10.2012 secondo la quale “il sistema camerale è pienamente consapevole di dover raccogliere la sfida della competitività e dello sviluppo del Paese” attraverso la riorganizzazione dei propri servizi e il riordino complessivo dei propri assetti per rispondere in modo adeguato ed ancora più efficace ed efficiente alle istanze delle imprese da cui unicamente derivano le risorse economiche di cui il sistema dispone.
Lo schema di razionalizzazione proposto, inerente la distribuzione delle funzioni a livello territoriale o, in forma aggregata, a livello regionale o interregionale, è convincente costituendo uno sviluppo naturale della logica a rete che, da sempre, sottende alle attività delle Camere di commercio.
Tutto questo consentirà, certamente, di realizzare economie di scala e di giungere a ulteriori traguardi di eccellenza per il sistema camerale.
Le Camere di commercio sono autonomie funzionali che svolgono funzioni di interesse generale in favore del sistema delle imprese, assicurando e promuovendo il loro sviluppo nell’ambito delle economie locali.
Per esse, dunque, non si possono utilizzare logiche di riordino seguite per altre istituzioni legate all’estensione territoriale e alla popolazione, non risultando questi elementi “adeguati per enti come le Camere di commercio la cui riorganizzazione deve necessariamente seguire le caratteristiche economiche delle comunità di riferimento”; va tenuto presente, tra l’altro, che l’autonomia finanziaria, basata sul diritto annuale a carico delle imprese, consente al sistema di non gravare sul bilancio dello Stato.
Gli enti camerali sono frutto di una evoluzione stratificata che li ha condotti verso un forte processo di radicamento, di rappresentatività e rappresentanza di un “corpus” imprenditoriale dotato di spiccata e riconoscibile specificità territoriale.
L’autoriforma, che comunque risponde alle pressanti richieste del Governo nazionale, non può significare solo un asettico e chirurgico ridisegno dell’organizzazione territoriale, una mera riduzione del numero delle Camere di commercio in nome dell’esigenza di fare economia.
L’indispensabile riordino degli assetti del sistema arriverà, così, inevitabilmente a riguardare anche le Unioni regionali, l’Unioncamere nazionale, i Consorzi intercamerali e le Agenzie nazionali con effetti devastanti sull’intero sistema camerale nazionale.
Significherebbe smentire tutto il processo di riforma dell’ordinamento camerale avviato sin dal secolo scorso, orientato a garantire un avvicinamento progressivo dei fatti relativi alle imprese, al territorio in cui insistono e di cui sono membra.
Indubbiamente la struttura a rete del sistema camerale bene ha saputo, in questi anni, interfacciare le imprese, intercettandone i bisogni.
Una autoriforma, intesa quale ridisegno territoriale delle Camere di commercio che intende compiersi con la mera cancellazione degli enti di più piccole dimensioni, non può che indurre ad una reazione che è prima di tutto di natura concettuale perché in tal modo si impone una degradazione, sulla scala dei valori, del principio della prossimità.
Si potrebbe, in proposito, ridisegnare le mappe circoscrizionali di competenza, in ragione degli interessi imprenditoriali concreti e dimostrabili, come avviene per i distretti industriali
Le riforme, infatti, devono produrre benefici diffusi e coesione territoriale -in questo caso anche coesione imprenditoriale-; non possono tradursi, come purtroppo sta avvenendo, in una diffusa marginalizzazione dei territori.
Indubbiamente tutti hanno il dovere di raccogliere la “sfida della competitività e dello sviluppo del Paese”.
La sfida può essere vinta anche senza paventate “soppressioni” in ragione di ipotesi di risparmio tutte da dimostrare.
Perché questo possa accadere, tuttavia, è necessario orientarsi verso una rigida razionalizzazione delle spese, senza perdere di vista l’efficienza delle organizzazioni, ma soprattutto senza trascurare l’efficacia delle loro azioni.
Occorre mettere in atto comportamenti esemplari che consentano di preservare il patrimonio immateriale di cultura economica, di relazioni, di solidarietà, di prossimità, e quello materiale fatto di tradizioni di lavoro, di genuinità delle produzioni, di specificità delle lavorazioni, della storia stessa dei territori.
Nel caso della Camera di commercio di Matera si può immaginare una estensione dei confini circoscrizionali allargandoli all’area murgiana in cui si ritrovano forti affinità di cultura imprenditoriale oltre che scambi commerciali di grande rilievo, e sulla quale insiste, tra l’altro, il distretto industriale del mobile imbottito.
Per queste ragioni, valutate con ogni dovuta attenzione tutte le possibili economie e riduzioni di costi, i consiglieri della Camera di commercio di Matera,
UNANIMEMENTE RITENGONO
che ci siano le condizioni per l’autosostentamento dell’ente.
Si è consapevoli tuttavia che la strada dell’autarchia rappresenta comunque una sconfitta del modello, esemplare e virtuoso, messo in campo in questi anni dal sistema camerale, fatto di solidarietà istituzionale, ma si è altrettanto convinti che l’autosufficienza è, in questa fase, l’inesorabile regola per la conservazione della Camera di commercio di Matera.
Proprio per il raggiungimento dell’obiettivo di autosostenersi, i consiglieri camerali intendono fattivamente contribuire alla definizione di un percorso di virtuosità finalizzato, da un lato, al raggiungimento degli equilibri di bilancio e, dall’altro, a produrre una riduzione dei costi pari al 20% nel biennio (in linea con quanto preventivato dal documento del Comitato Esecutivo Unioncamere) per lo svolgimento di “eventuali nuove funzioni al servizio delle imprese senza ulteriori oneri per lo Stato”.
Rivendicano e ribadiscono così, con le azioni concrete, che la passione per un’idea può comportare sacrifici e comportamenti consequenziali per chi assume di essere classe dirigente.
Se questo non fosse sufficiente ad invertire il percorso intrapreso in sede nazionale, si avrebbe il legittimo motivo di sospettare che dietro l’alibi della competitività e dello sviluppo del Paese, dietro il paravento della virtuosità di ciascuno, si cela esclusivamente una deleteria volontà politica di spoliazione del territorio.
Data di aggiornamento: 09/11/2012